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Naspi - ex disoccupazione come funziona per colf e badanti

Molte volte il lavoro domestico viene “sottovalutato”. Niente di più errato: badanti, colf, baby sitter e collaboratori domestici sono lavoratori come tutti gli altri e per questo hanno il diritto di vedere rispettato il loro contratto nazionale di categoria (Ccnl). Per tutti i dettagli e gli approfondimenti sul lavoro domestico, vi consigliamo la lettura di una semplice guida: Lavoro domestico: tutto quello che c’è da sapere.

Sul punto, inoltre, è bene sapere che per quest’anno è aumentato lo stipendio da corrispondere a badanti, collaboratrici domestiche, colf e baby sitter. Il 2018, inoltre, è l’anno dei riflettori puntati sull’orario massimo di lavoro di colf e badanti. Eventuali violazioni da parte del datore di lavoro, infatti, saranno pesantemente sanzionate. Di tanto abbiamo parlato nell’articolo Colf, badanti e baby sitter: stipendio e nuove regole.

In questo approfondimento, invece, ci occuperemo di un altro aspetto fondamentale del lavoro domestico, vale a dire quello inerente alla disoccupazione di colf, badanti e collaboratrici domestiche. È bene sapere, infatti, che anche i lavoratori domestici hanno diritto alla Naspi. Vista la peculiarità del lavoro domestico, tuttavia, è importante chiarire alcuni aspetti. Vediamo allora i requisiti, come si calcola l’assegno di disoccupazione per colf e badanti e come fare domanda all’Inps.

Indice

Colf e badanti: spetta la disoccupazione?

La Naspi, vale a dire la nuova assicurazione sociale per l’impiego, spetta a tutti i lavoratori dipendenti, compresi i lavoratori domestici come colf e badanti. Dunque, anche i lavoratori domestici assunti con regolare contratto hanno diritto a ricevere dall’Inps l’assegno mensile di disoccupazione.

I datori di lavoro domestico, infatti, sono tenuti a versare in favore di colf, badanti e babysitter i contributi previdenziali e assistenziali, che danno diritto non soltanto alla maternità, agli assegni per il nucleo familiare e alla pensione, ma anche alla disoccupazione.

Ed infatti, come per ogni settore lavorativo, anche il rapporto di lavoro domestico, che di norma riguarda colf, badanti, baby-sitter, ecc., è regolato da un apposito contratto, vale a dire il contratto collettivo nazionale di lavoro (ccnl), che indica i minimi tabellari ossia la retribuzione minima che va riconosciuta a chi svolge questo lavoro. Il Ccnl lavoro domestico indica in modo preciso quanto pagare la colf, la badante, la baby-sitter o la donna delle pulizie. Qualora le parti dovessero concordare un compenso più basso di quello stabilito dal contratto collettivo, il contratto resterebbe valido, ma la colf o badante – al termine del rapporto di lavoro – potrà chiedere un’integrazione retributiva. Quanto poi ai contributi, questi vanno versati ogni tre mesi all’Inps. Il loro ammontare varia a seconda del numero di ore di lavoro svolte alla settimana e dalla retribuzione oraria.

Ciò chiarito, è evidente che i lavoratori domestici assunti con regolare contratto di lavoro hanno diritto a presentare domanda di Naspi e ricevere dall’Inps l’assegno mensile di disoccupazione.

Disoccupazione colf e badanti: quali requisiti

I requisiti per poter presentare domanda di disoccupazione per colf e badanti sono gli stessi previsti per tutti gli altri lavoratori dipendenti. Tuttavia, vista la peculiarità del lavoro domestico vi sono determinate regole da tenere a mente. Più nel dettaglio, per presentare domanda di disoccupazione è necessario non soltanto che la colf o la badante sia titolare di regolare contratto di lavoro, ma tra i requisiti vi è anche aver lavorato per un determinato periodo di tempo. Procediamo con ordine.

Innanzitutto è importante sottolineare che colf e badanti e collaboratori domestici assunti con regolare contratto possono chiedere la disoccupazione solo in caso di interruzione involontaria del rapporto di lavoro. Ed infatti, così come previsto per tutti gli altri lavoratori dipendenti, la Naspi spetta soltanto qualora il rapporto di lavoro della colf o della badante si sia concluso a seguito di licenziamento o nel caso di dimissioni per giusta causa.

Quando le dimissioni sono per giusta causa

Quando il lavoratore si dimette le motivazioni alla base di tale scelta possono essere le più varie. Sul punto, però, è possibile operare una distinzione fondamentale. Ed infatti, la situazione di chi si licenzia per motivi o valutazioni personali è diversa da quella di chi è costretto a dimettersi per via di circostanze che si riflettono negativamente su di lui e che rendono non più proseguibile il rapporto di lavoro; in tali casi il dipendente è di fatto obbligato a dimettersi per non subire un’ingiustizia. Ebbene, solo in quest’ultimo caso le dimissioni danno diritto all’ottenimento dell’assegno assistenziale dell’Inps (attualmente si chiama Naspi). In altre parole, non sempre se il dipendente si dimette prende la disoccupazione: ne ha diritto solo quando la sua scelta è dettata dalla necessità di evitare un’ingiustizia ai suoi danni, vale a dire solo quando sussiste una giusta causa di dimissioni.

Si considerano “per giusta causa” le dimissioni determinate:

dal mancato pagamento dello stipendio. Ed è questo il caso più frequente con riferimento alle dimissioni per giusta causa di colf e badanti; dall’aver subito molestie sessuali nei luoghi di lavoro; dalle modificazioni peggiorative delle mansioni lavorative; dal mobbing, ossia in caso di crollo dell’equilibrio psico-fisico del lavoratore a causa di comportamenti vessatori da parte dei superiori gerarchici o dei colleghi (spesso, tra l’altro, tali comportamenti consistono in molestie sessuali o “demansionamento”, già previsti come giusta causa di dimissioni).dalle notevoli variazioni delle condizioni di lavoro a seguito di cessione ad altre persone (fisiche o giuridiche) dell’azienda; dallo spostamento del lavoratore da una sede ad un’altra, senza che sussistano le cosiddette “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”; dal comportamento ingiurioso posto in essere dal superiore gerarchico nei confronti del dipendente.

Disoccupazione colf e badanti: il numero di settimane o di giorni di lavoro

Come anticipato, per presentare domanda di disoccupazione è necessario non solo che la colf o la badante sia titolare di regolare contratto di lavoro, ma tra i requisiti vi è anche aver lavorato per un determinato periodo di tempo, vale a dire per un determinato numero di settimane o di giorni.

In particolare, un lavoratore domestico che è stato licenziato o che si è dimesso per giusta causa avrà diritto alla disoccupazione nel caso di impiego e regolare versamento dei contributi Inps:

per un minimo di 13 settimane negli ultimi 4 anni che precedono la disoccupazione;per almeno 30 giorni nei 12 mesi che precedono la disoccupazione.

Quindi per i lavoratori domestici non ci sono differenze riguardo ai requisiti necessari per beneficiare della Naspi; tuttavia, vista la particolarità del lavoro svolto da questa categoria di lavoratori, sono state previste delle regole specifiche riguardanti il calcolo dei giorni lavorati e la contribuzione.

Naspi Colf e badanti: come si calcolano i giorni lavorati

A spiegare come calcolare il requisito dei 30 giorni di lavoro è l’Inps, la quale ha chiarito che per i lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari, per i quali non si conosce il numero di giornate effettivamente lavorate, la presenza al lavoro per almeno trenta giornate negli ultimi 12 mesi si determina con lo stesso sistema usato per l’accredito della contribuzione e per il pagamento delle prestazioni dei lavoratori domestici: la presenza di cinque settimane di contribuzione, considerate convenzionalmente di sei giorni l’una, equivale a trenta giornate di lavoro. Tenuto conto che per l’accredito delle settimane si fa riferimento al trimestre solare e che per la copertura di una settimana sono necessarie 24 ore, le settimane accreditate nel trimestre si calcolano sommando tutte le ore di lavoro presenti nel trimestre e dividendole per 24: ad esempio, 80 ore lavorate nel trimestre/24 = 3,33 settimane di contribuzione, arrotondate a 4.

In pratica, il requisito lavorativo dei 30 giorni si ritiene soddisfatto se nei 12 mesi prima del periodo di disoccupazione il numero di settimane risultante dalla somma dei contributi settimanali riconosciuti per ciascun trimestre e versati dal datore di lavoro o dai datori di lavoro sia pari almeno a cinque.

Colf e badanti: come si calcola l’assegno di disoccupazione

Per calcolare l’importo dell’indennità Naspi al quale si ha diritto bisogna sommare tutte le retribuzioni imponibili previdenziali percepite negli ultimi 4 anni e dividere il risultato per il numero di settimane di contribuzione.

Il quoziente ottenuto va poi moltiplicato per il coefficiente 4,33. Se questo risultato è inferiore al minimale mensile fissato annualmente dall’Inps – che per il 2018 ammonta a 1.208,15 euro – allora l’importo dell’indennità sarà pari al 75% della cifra ottenuta. Se invece il risultato è superiore al suddetto limite si aggiunge un 25% del differenziale tra la retribuzione mensile e il suddetto importo, purché non venga superato il limite di 1.3140 euro.

Colf e badanti: come presentare domanda di disoccupazione Inps

Sul punto è necessario innanzitutto sapere che la Naspi viene erogata esclusivamente in caso di domanda inviata all’Inps entro 68 giorni dal licenziamento o dalle dimissioni per giusta causa.

La domanda per richiedere la disoccupazione dovrà essere inviata esclusivamente in modalità telematica, attraverso il sito dell’Inps. Per svolgere le pratiche si dovrà essere in possesso del Pin Inps dispositivo. Per sapere come ottenerlo, leggi: Come ottenere Pin dell’Inps?. Di seguito, sarà necessario:

eseguire il login nell’area dei Servizi online del sito ufficiale dell’Inps; selezionare Invio domande di prestazioni a sostegno del reddito e poi cliccare sulla dicitura Naspi, che comparirà sulla barra di sinistra;

cliccare su Indennità di Naspi e poi su Invio domanda.

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